Aumenterà il prezzo del latte alla stalla?
I prezzi delle materie prime e di alcuni generi di prima necessità si stabiliscono, o meglio, dovrebbero stabilirsi, in genere nell’equilibrio tra domanda e offerta. Il latte in particolare, essendo una materia prima, dovrebbe essere soggetto a questa ferrea regola di mercato. Nell’evoluzione della finanza e dell’economia però le grandi concentrazioni industriali hanno falsato questo meccanismo anche per quanto riguarda le commodities più semplici come i cereali, il petrolio e quant’altro. Basti pensare che nell’agri-business 5 player controllano il 75-90% del mercato mondiale dei cereali e delle oleaginose con un fatturato nell’ordine di 365 miliardi di dollari, per cui pensare che i prezzi di questi alimenti siano regolati dal rapporto tra la domanda e l’offerta non ha più alcun senso. Lo stesso è avvenuto negli ultimi anni nel mercato globale del latte. La svizzera Nestlè, le francesi Lactalis e Danone, la Dairy Farmers of America e Fonterra neozelandese, ossia i primi 5 gruppi lattiero-caseari più grandi del mondo, hanno un fatturato complessivo di 78.3 miliardi di euro quindi, anche in questo caso, è ragionevole pensare che il prezzo del latte alla stalla possa sfuggire alla regola del rapporto tra domanda e offerta.
Sta di fatto che stiamo osservando un progressivo, e sembrerebbe inesorabile, calo del prezzo del latte davanti al quale governi ed organizzazioni non riescono, o sono incapaci, a fare fronte anche perché un approccio organico e strutturale al problema ad oggi non sembra essere stato provato. Nel latte, e in molte altre commodities, è chi compra che fa il prezzo e non chi vende, e chi acquista tira la corda fino allo stremo sapendo bene quali sono i costi di produzione di una produzione primaria, cosa che a volte gli allevatori non sanno esattamente. In ogni caso è assolutamente necessario per la programmazione delle attività degli allevamenti poter prevedere l’andamento del prezzo del latte, anche per prevenire le speculazioni dei grossi gruppi lattiero caseari e valutare gli investimenti. Sono ormai due anni che il nostro gruppo di lavoro, in collaborazione con il centro studi di AIA, ha definito la “Sindrome della bassa produzione di latte in autunno” (SBPLA) attraverso una puntuale osservazione della produzione pro-capite della frisona italiana confrontata con quanto avviene negli allevamenti ubicati nell’emisfero borale, ossia a nord dell’equatore. Quello che si rileva in questa parte del mondo è che le produzioni massime si registrano in primavera (Aprile-Maggio) e le minime in autunno (Ottobre-Novembre) e ciò avviene ormai da molti anni.
Andamento della produzione di latte pro-capite della frisona italiana in selezione. Fonte AIA
Andamento del latte raccolto in Italia negli anni 2013-2014-2015-2016
Andamento del latte raccolto in Europa negli anni 2013-2014-2015-2016
Andamento del latte raccolto negli Usa negli anni 2013-2014-2015-2016
Se non ci fosse la “distorsione” di mercato delle grandi concentrazioni multinazionali del latte, se ci fosse una politica di tutela dell’agricoltura come fattore di “rilevanza sociale e ambientale”, se si rispettasse quanto “ipocritamente” promesso a EXPO 2015 “nutrire il pianeta, energia per la vita” e se si facesse di più per rassicurare i consumatori sugli aspetti etici, salutistici e di sostenibilità, che stanno facendo calare i consumi occidentali di latte, probabilmente non ci troveremmo in questa situazione.
Per essere concreti, cerchiamo di analizzare quanto sta succedendo per poter prevedere l’andamento del prezzo del latte nei prossimi mesi, a prescindere dagli atteggiamenti “populistici” di alcuni dei nostri partiti e sindacati che chissà perché proprio a fine estate iniziano a preoccuparsi del prezzo del latte. La tabella 1 è un’analisi sul peso che potrebbero avere la SBLA, la fine del regime quote latte (Aprile 2015) e l’embargo Russo (Agosto 2014) nel determinare il prezzo del latte in Italia e in Europa, e di quanto gli esuberi produttivi e il calo dei consumi possano effettivamente concorrere a definire il prezzo del latte alla stalla. Quello che si osserva dai dati della Commissione Europea è che nel periodo Gennaio-Giugno 2016, rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente la produzione di latte in Europa è aumentata del 2.6%, quindi meno delle più catastrofisitiche previsioni. In Italia questo incremento è stato di +1.8%. Nel mese di Giugno 2016 però la produzione di latte europea ha visto un brusco calo dell’1.4% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, nonostante paesi come l’Olanda e molti di quelli dell’Est stiano ancora in forte crescita produttiva.
Tornando però alla domanda “Aumenterà il prezzo del latte alla stalla?” la risposta potrebbe essere sì, osservando sempre in tabella 1 la differenza tra il prezzo pagato nella EU a Maggio, ossia quando la produzione è massima, rispetto al mese di Novembre, quando la produzione è al minimo. Negli ultimi 10 anni ( 2006-2015), tranne nel 2008 e nel 2014, ciò è regolarmente avvenuto con variazioni oscillanti tra gli 11.5 euro/q.le del 2008 e gli 0.21 euro/q.le del 2015. Il più grosso gruppo industriale che opera in Italia è Italatte (Lactalis) che ha contrattualizzato per il periodo Aprile 2015 – Marzo 2017, con buona parte dei suoi conferenti, un prezzo del latte base uguale alla media del latte europeo pubblicata dalla commissione del Milk Market Observatory. Questo prezzo è al netto dei premi di pagamento qualità, dell’IVA e di 4 euro/q.le come valorizzazione del Made in Italy. Se pur restrittiva e discutibile, e assolutamente inadeguata ai costi di produzione del latte in Italia, tale metodologia è chiara come sono chiari i prezzi degli alimenti zootecnici quotati nelle principali borse merci italiane. Tale modalità di contrattazione, che rappresenta una forte discontinuità con il passato, permette agli allevatori di spostare la trattativa non tanto sul prezzo base quanto sul valore riconosciuto dall’essere munto in Italia che ripetiamo oggi è, secondo Italatte, di euro 4/q.le.
A conclusione di tutto ciò, cosa può riservare il futuro del prezzo del latte alla stalla? Se prevalesse anche solo parzialmente la regola di mercato che il prezzo di una materia prima sia condizionata dal rapporto della domanda e dell’offerta, ci dovremmo aspettare un aumento del prezzo base di almeno 2-3 centesimi, almeno per il periodo settembre-dicembre, e che probabilmente avverrà fisiologicamente nella media del prezzo del latte in Europa. Salvo ovviamente azioni di lobbies dell’industria su cui i governo dovrebbero porre maggiore attenzione. Diverso è invece il discorso di voler chiedere un adeguamento del premio supplementare “Made in Italy”, oggi quantificato con chiarezza solo da Italatte, considerando quanto questo claim stia sostenendo il prezzo di vendita al pubblico, nazionale e internazionale, di tutta la filiera lattiero casearia. Se poi la politica e i sindacati si concentrassero su come trovare argomenti a sostegno dei consumi, ciò gioverebbe non solo agli allevatori ma anche a tutto il resto della filiera e non ultimo alla salute della gente.